ERRORI NEL CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA
Agostino Armando Carratù • feb 18, 2022

Secondo il TAR Campania il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo e non può essere oggetto di autonoma impugnazione.

CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA - Ai sensi dell’art. 30, D.P.R. 380/2001, gli atti tra vivi successivi al 17/03/1985, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni, sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l'area interessata (certificato di destinazione urbanistica). Il certificato è rilasciato dal competente Ufficio comunale entro il termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della relativa domanda e ha validità per un anno dalla data di rilascio se, per dichiarazione dell'alienante o di uno dei condividenti, non siano intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici.


In caso di mancato rilascio del suddetto certificato nel termine previsto, esso può essere sostituito da una dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividenti attestante l’avvenuta presentazione della domanda. Tale dichiarazione deve inoltre attestare:

- o la destinazione urbanistica dei terreni secondo gli strumenti urbanistici vigenti o adottati;

- o l'inesistenza di questi;

- o la prescrizione, da parte dello strumento urbanistico generale approvato, di strumenti attuativi (sul tema si veda C. Cass. civ. 15/10/2013, n. 23339, secondo cui, per ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di stipulare un contratto definitivo di compravendita di terreno è necessaria l'allegazione del certificato di destinazione urbanistica).


PERTINENZE DI EDIFICI CENSITI - L’onere di cui sopra non sussiste quando i terreni costituiscono pertinenze di immobili censiti nel catasto urbano, purché la superficie complessiva dell'area di pertinenza medesima sia inferiore a 5.000 metri quadrati (art. 30, comma 2, D.P.R. 380/2001; vedi anche C. Cass. civ. 11/02/2020, n. 3316).


MANCANZA DEL CERTIFICATO, POSSIBILITÀ DI SUCCESSIVA REGOLARIZZAZIONE - Gli atti in discorso ai quali non siano stati allegati certificati di destinazione urbanistica possono essere confermati o integrati anche da una sola delle parti o dai suoi aventi causa, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, al quale sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree interessate al giorno in cui è stato stipulato l'atto da confermare o contenente la dichiarazione omessa (art. 30, D.P.R. 380/2001, comma 4-bis).


NATURA DELL’ATTO E IMPOSSIBILITÀ DI AUTONOMA IMPUGNAZIONE - Sull’argomento è intervenuto il TAR Campania-Napoli che con sentenza del 28/01/2022 n. 605 ha ribadito il principio secondo il quale il certificato di destinazione urbanistica, di cui all’art. 30 del D.P.R. 380/2001, commi 2 e seguenti, si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla.

Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione.

Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica (vedi anche TAR Veneto 09/07/2021, n. 913).

Secondo TAR Liguria 30/03/2021, n. 277, peraltro, il carattere meramente dichiarativo e non costitutivo dell’atto comporta che l’eventuale erroneità del certificato in discorso non può incidere sulla legittimità dei provvedimenti successivamente emanati dall’amministrazione sulla base di una corretta ricognizione dei presupposti di fatto e di diritto.

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